I Magi: cercatori di Dio

Omelia del Vescovo per la Solennità dell’Epifania

“Magi, voi siete i santi più nostri, naufraghi sempre in questo infinito, eppure sempre a tentare, a chiedere, a fissare gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore”. Sono parole vibranti, intrise di intensa poesia, di padre David M. Turoldo, e ci aiutano a cogliere il messaggio pulsante del vangelo secondo i Magi. Ci aiutano a ripercorrere il loro cammino, come fosse una storia dell’anima, la più grande avventura che possa capitare a un cuore d’uomo. In effetti il loro è un appassionante cammino di fede. E’ l’incontro con un Messia che, mentre si offre come salvatore e liberatore, chiede una radicale adesione alla sua persona, al suo vangelo, alla sua vita.

1. Il primo passo del cammino i Magi non lo fanno con i piedi, ma con gli occhi, secondo l’invito tenace e struggente di Isaia: “Alza gli occhi e guarda”. Occorre non ripiegarsi a guardare terra-terra. Bisogna uscire dal fazzoletto di casa propria. “Abramo, esci dalla tua terra e va’…”. Ed è necessario alzare il capo. “Abramo, guarda in cielo e conta le stelle” (Gen 15, 5). Bisogna scrutare le mappe del cielo. Frequentare le rotte delle stelle e i ritmi armoniosi delle galassie. Nel racconto dei Magi, per quattro volte nel giro di appena 12 versetti ricorre il verbo degli occhi: vedere. E per tre volte questo verbo riguarda la stella: “Abbiamo visto spuntare la sua stella” (vv. 2.9.10). L’ultima volta il verbo ‘vedere’ ha per oggetto “il bambino e sua madre” (v. 10). In fondo non è forse proprio il Bambino la stella apparsa nel cielo di oriente?

Dunque, occorre vedere. Ma per vedere bene, ci vogliono occhi limpidi e sguardi acuti Bisogna uscire da schemi rigidi e geometrici. Sfatare prevenzioni incallite e pregiudizi accaniti. Occorre demolire miti triti e ritriti, mode correnti e ricorrenti. Cestinare ferrei tabù e abitudini arrugginite. Bruciare maschere e ipocrite finzioni. Smantellare idee false e opinioni fasulle.

2. Il secondo verbo dei Magi è camminare. Vedere non basta. Occorre cercare, indagare, domandare. La ricerca – come, in fondo, la vita – è fatta di passi. Vietato ammalarsi di ‘divanite’ o di ‘balconite’. Per trovare colui che ci aspetta occorre mettersi in cammino, all’inseguimento di una stella che cammina, cammina…

Siamo attesi. Tutti, nessuno escluso. Anzi colui che ci aspetta, è già da tempo per via, perché brucia dal desiderio di incontrarci. E’ un Padre che non ce la fa più ad aspettare i figli prodighi e spreconi. E’ un vero Abbà, un Babbo caro che non ci ha mai perso di vista. Il quale “ha sete che noi abbiamo sete di lui” (s. Gregorio Nisseno). E appena ci fissa con il suo sguardo ardente e cordiale, quando siamo ancora lontani, ci corre incontro, perché non vede l’ora di fare festa per noi e con noi, figli spesso spiritosi, ingrati e scapestrati.

E’ vero: una stella, Dio non la nega a nessuno. Si nasconde negli avvenimenti, che accadono spesso in modo imprevedibile e inatteso. Si ‘squaderna’ nelle meraviglie dell’universo. Si comunica “nel cielo stellato sopra di me” e nella voce ineludibile della coscienza “dentro di me”. Si rivela nella capacità di conoscere e di amare. Si piega nella preghiera e si spiega nella fiducia. Si scopre perfino nella disperazione. Si vela e si s-vela nel respiro di ogni creatura. E fa di ogni difficoltà una opportunità. Di ogni bene un dono. Di ogni infrazione un condono. Di ogni colpa un perdono. Di ogni dolore una occasione di amore. Di ogni gioia il presentimento di una felicità assoluta.

3. Il terzo verbo dei Magi è andare insieme. Il testo di Matteo parla di “alcuni Magi”. E certamente per un lungo, aspro itinerario del genere, ci dovevano essere anche uomini e donne del seguito. Dunque, una piccola comunità viaggiante. Anche il cammino di fede – sia per cominciare che per ricominciare a credere – richiede di cercare insieme. Da adulto Gesù chiederà ai suoi compagni un minimo di “due o tre” discepoli, per poter camminare anche lui insieme a loro. I cercatori di Dio non sono dei vagabondi solitari, ma dei poveri pellegrini, dei fratelli mendicanti che insieme si sostengono, e insieme cercano dove insieme possono trovare da mangiare.

4. Il quarto verbo è ricominciare. I Magi compiono un cammino fitto di errori. Arrivano nella città sbagliata: a Gerusalemme, anziché a Betlemme. Parlano del bambino con un re crudele che li raggira e, di lì a breve, ordirà una feroce strage di bambini. Perdono la stella, salvo poi ritrovarla quasi a tempo scaduto. Cercano un re e trovano un bimbo, per giunta non seduto in trono in pose ingessate, ma in braccio a sua madre. Sbagli e abbagli, in una ricerca tanto impegnativa, sono sempre all’ordine del giorno. Ciò che conta non è illudersi di non sbagliare. E’ invece non arrendersi agli errori, non desistere a seguito di inevitabili incidenti di percorso. E ricominciare sempre a cercare una strada, finché non si arriva a destinazione.

5. Il quinto verbo è “Al vedere la stella ferma sulla casa dove si trovava il bambino con sua madre, essi – annota Matteo, in genere piuttosto misurato con i superlativi – “provarono una gioia grandissima” (2,10). Dio è amore. La gioia è il profumo della sua presenza. La tristezza è il fetore della sua assenza. La gioia è comunicata a chi scopre il tesoro (Mt 13,44). “Colui che era presente all’inizio del cammino come desiderio e tensione, ora, nella gioia, si offre come appagamento e dis-tensione” (S. Fausti).

6. Il sesto verbo è adorare. Verbo latino che dice ‘portare-la-mano-alla-bocca’. Perché si è rimasti colpiti da uno stupore ‘mozzafiato’, trepidanti per un febbrile brivido a pelle, esaltati per una incontenibile meraviglia. Il segno della stupefacente sorpresa, sperimentata dai Magi, merita una breve spiegazione. I nostri misteriosi personaggi cercavano un figlio di re, e si ritrovano un bambino, figlio di una povera, umile ragazza. Il piccolo bambino è un Dio capovolto. Solo un Dio di questa taglia poteva inventare una immagine, così poco ‘divina’, di sé e della propria ‘gloria’. Non avendo nessuno al di sopra di sé, Dio non può esaltarsi, non può innalzarsi. Può solo abbassarsi, umiliarsi, svuotarsi. Il segno dell’adorazione è l’offerta dei doni: oro, segno di ricchezza regale. Incenso, segno di presenza divina. Mirra, che indica mortalità umana.

7. Cambiare strada. I Magi tornano dov’erano partiti. Ma “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. La strada non è più quella di quanti hanno cercato uno che non si conosceva, ma quella di quanti hanno ritrovato colui che avevano cercato. I Magi non hanno imboccato una variante di valico. Hanno letteralmente scoperto un nuovo cielo e una nuova terra. Questo è il tesoro che hanno tentato di trovare e finalmente ce l’hanno fatta. Perché non dovremmo farcela anche noi?

Un ultimo pensiero riguardo a questa liturgia. Lo “straniero” è un messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano. Negli “stranieri” la Chiesa vede Cristo che “mette la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14) e che “bussa alla nostra porta” (Ap 3,20). Questo incontro fatto di attenzione, accoglienza, condivisione e solidarietà, di tutela dei diritti dei migranti e di impegno evangelizzatore, rivela la costante sollecitudine della Chiesa che scopre in questi fratelli autentici valori e li considera una grande risorsa umana. “Le famiglie dei migranti… devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. è questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Gv. Paolo II).

Basilica Cattedrale, Rimini, 6 gennaio 2022

 + Francesco Lambiasi