Educare alla cittadinanza si deve e si può

Discorso del Vescovo alle Autorità Cittadine in occasione della festa di san Gaudenzo, Patrono della Città e Diocesi

Rispettabili Autorità, Gentili Signore e Signori,

Vorrei sostare brevemente con voi sul tema dell’educare e pormi alcune questioni, semplici da formulare, ma molto impegnative da risolvere. Mi domando con voi: sono passate di moda le virtù? ha ancora un senso educare? a chi tocca farlo? solo alla famiglia e alla scuola? la politica ha o meno un ruolo educativo?

Oggi, nell’immaginario collettivo, non è la virtù, ma la trasgressione a rappresentare un valore. La morale del dovere e delle regole è in crisi e con essa il modello che vi si riferiva. Ma c’è un altro modo di concepire le virtù, molto diverso da quello della legge e dei comandi, e che valorizza piuttosto la sfera affettiva, i desideri e la ricerca della felicità. Una concezione antichissima, oggi riscoperta da studiosi, soprattutto anglosassoni, delle più varie tendenze, in profonda sintonia con le esigenze della sensibilità e mentalità contemporanee, soprattutto giovanili.

  1. Educarsi a vicenda alla cittadinanza

Quando nel 1958 Aldo Moro, allora ministro della Pubblica Istruzione, introduceva nella scuola secondaria una disciplina con il nome di educazione civica, giustificò l’innovazione adducendo la seguente ragione: “Il campo dell’educazione civica, a differenza delle materie di studio, non può essere delimitato dalle nozioni”, ma si pone “su quel piano spirituale dove quel che non è scritto è più importante di quello che è scritto”. Proprio perché si tratta di “educazione” e non di “istruzione”, sarebbe riduttivo identificarla con una mera trasmissione di conoscenze per quanto approfondite. L’etimologia di “educare”, da e-ducere, allude all’opera con cui l’ostetrica aiuta il bambino a nascere. E’ in gioco non tanto una preparazione teorica, quanto l’emergere di una identità in costruzione.

Educare alla cittadinanza significa educare alla politica. Del resto, le due cose coincidono: “politico” deriva dal greco polis, come “cittadino” deriva da civitas, che ne è la traduzione latina. Poiché la politica ha come fine il bene comune, ne deriva che il mio bene coincide con il bene di quegli altri con cui sono legato in una comunità umana. Poiché il bene non è né mio né tuo in particolare: i valori non sono proprietà privata. Per questo nella Grecia classica coloro che si facevano i fatti propri (in greco to idion) venivano definiti, letteralmente, “idioti”. L’egoista è miope e non sa fare gli interessi degli altri, perché in realtà non sa fare neanche i propri. I “furbi” esistono, ma poi non sono così furbi come credono e vorrebbero far credere.

Educare alla cittadinanza è interesse di ognuno, ma è anche compito di tutti. Ogni cittadino è responsabile e insieme destinatario di una educazione a valori condivisi su cui fondare una esistenza felice. Qui, più ancora che in famiglia e a scuola, è necessario mettere in opera pratiche il cui fine interno e le cui regole implicite vincolino tutti i partecipanti a operare virtuosamente, uscendo dalla perversa alternativa tra un egoismo facile, ma deleterio, e un altruismo nobile, ma impraticabile se non da pochi eroi.

A partire dal modo di intendere e di vivere la propria professione, fino alle forme più specifiche di partecipazione alla vita politica, bisogna creare con il confronto, con la testimonianza personale, con i propri micro-comportamenti, un clima che favorisca la ricerca del bene comune già a partire dalle attività pre-politiche, come sono quelle della società civile, fino a quelle che hanno una specifica rilevanza istituzionale, per esempio l’esercizio del diritto di voto. Così si tratterà di educarsi reciprocamente ogni giorno al rispetto di tutto ciò che, in quanto pubblico, non appartiene a nessun privato, ma è patrimonio comune; all’impegno per favorire la prosperità della propria città; alla ricerca e alla custodia di un clima culturale ed etico che non sia avvelenato dalla volgarità e dalla menzogna; alla considerazione dei diritti umani di tutti, soprattutto dei più deboli.

Una Città educa alla cittadinanza con il volto onesto, e con le mani pulite e unite di tanta gente che ogni mattina si alza per svolgere con fedeltà e spirito di servizio il proprio dovere. E’ gente che non fa clamore, ma si rimbocca le maniche con dignità e grande generosità. Il nostro settimanale ilPonte la descrive così: “Anche se nessuno ne parla, c’è gente normale, che ogni giorno affronta paure e incertezze, vive la sobrietà nelle scelte di consumo, la rinuncia a una spesa superflua, il rispetto delle regole, lo sforzo a tenere vivo il supporto prestato ai genitori anziani e l’aiuto a un amico – spesso con l’angoscia di un lavoro sempre più instabile – l’incertezza del futuro, le tasse da pagare, sopportando i dispetti della burocrazia, con il peso lacerante dell’angoscia di lasciare ai figli un futuro peggiore del proprio”.

Una Città, come la nostra, educa alla cittadinanza con l’immagine delle sue vie, delle sue piazze, del suo paesaggio, dei suoi monumenti. In questo senso non può non essere apprezzato l’impegno dell’Amministrazione per la qualificazione estetica dei nuclei storici della Città – centro e borghi – e per il recupero della vocazione culturale della nostra Rimini. Va anche riconosciuta l’opera in corso per la realizzazione di importanti infrastrutture – sistema fognario – per una viabilità più scorrevole e funzionale, per la valorizzazione della risorsa preziosissima dei monumenti antichi. In questa direzione, occorre un ulteriore scatto in avanti, fino a promuovere un impegno specifico perché anche i turisti occasionali o meno sensibili al richiamo della cultura possano accogliere il messaggio di umanità e di bellezza che la nostra Città può trasmettere. Sgorga pertanto spontaneo l’invito a non cedere alla tentazione di puntare sull’effimero o su ciò che può dare un’immagine discutibile della Città. E’ un turismo pienamente “umano”- e certamente non meno redditizio sul piano economico – quello che promuove la persona del turista e l’immagine della città che lo ospita; il turismo dal volto umano si coniuga con ciò che eleva, che favorisce le relazioni, che dà senso e contenuti alla vacanza, al tempo libero, allo svago, al relax. Perciò deve essere netto – a livello di opinione pubblica come pure di immagine di Rimini veicolata nel mondo – il rifiuto nei confronti di ciò che imbarbarisce il turismo e tradisce il volto e i valori della nostra Città, come il lavoro nero nelle strutture ricettive e di ritrovo, la trasgressione e la volgarità, lo spaccio delle sostanze stupefacenti, giustamente punito, nella consapevolezza che reprimere non basta. Occorre prevenire, educare, sostenere, riconoscere e – perché no? – premiare i comportamenti positivi e le condotte virtuose dei cittadini.

  1. Educare alla solidarietà

            Una Città educa alla cittadinanza se educa alla solidarietà. La solidarietà è la sigla della nostra convivenza civile. Ovviamente parliamo di solidarietà non come consorzio di interessi, ma come comunione di persone. Si inserisce qui la questione degli immigrati, di tanta povera gente che continua a venire nelle nostre terre per trovare pane, pace e libertà, e invece non riescono nemmeno ad arrivare da noi, perché molte volte – troppe volte! – incontrano la morte. L’impegno delle parrocchie, della Caritas, del volontariato non si può sostituire all’impegno delle pubbliche autorità. Si tratta di promuovere, con gesti e con scelte appropriate, una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione. C’è chi ostacola questa cultura; ma sarebbe ignavia non affrontare e non cercare di risolvere problemi che possono avere anche aspetti spinosi. Si tratta di vincere la cultura della paura: la paura dell’altro, nel senso della paura che l’altro ci sia e ci sia come “altro”, come diverso, come straniero, come povero. La paura genera prima la diffidenza, poi scatena l’ostilità aperta.

Il problema degli immigrati non può essere affrontato solo sul piano dell’ordine pubblico o della difesa – peraltro spesso giustificata – delle norme sul commercio, combattendo il fenomeno dell’abusivismo o della contraffazione dei prodotti. Occorre, in positivo, approntare strumenti adeguati che favoriscano la comprensione, la reciproca conoscenza, l’accoglienza, la piena integrazione: strumenti “civici”, non solo interventi caritativi o di polizia. Potrebbero essere promossi – cito a titolo di esempio – incontri di amicizia, di sostegno scolastico ai bambini stranieri, corsi di lingua italiana, come ci ha ricordato autorevolmente il Presidente della Repubblica.

Vorrei aggiungere un’altra considerazione. Gli economisti ci hanno spiegato che dalla lunga crisi economica si uscirà profondamente cambiati, ma sta a ciascuno decidere se subirla oppure sconfiggerla. La crisi, la subiamo davvero se ci illudiamo di poterla attraversare rassegnati o pieni di rabbia, perché ci sembra che la vita ci sfugga di mano, e resti fuori portata molto di ciò che desideriamo, che non possiamo più permetterci. La crisi, la battiamo invece, se condividiamo quello che abbiamo; se guardiamo con simpatia a chi chiede e ha bisogno; se riscopriamo il lavoro come strumento e inventiamo modalità di lavoro nuovo; se accumuliamo quote di bene e di generosità anziché oggetti che intasano le nostre case. Oggi non è più tempo di pensare al superfluo, ma di proseguire a cercare il bello, il vero e il giusto nelle scelte. Quindi attenzione alle iniziative – come, ad esempio, le feste di massa di cui si potrebbe fare a meno o che si potrebbero vivere con più sobrietà – che impiegano denaro pubblico, lanciando l’immagine di una Rimini trasgressiva, senza lasciare un segno positivo e duraturo.

Si sente talvolta l’obiezione che aiutare profughi e immigrati significhi privilegiarli rispetto ai poveri di casa nostra. A parte il fatto che già oggi quanti vengono da paesi indubbiamente più poveri del nostro, se abbandonassero i lavori che nessuno di casa nostro è più disposto a fare, si paralizzerebbe il paese, i dati a nostra disposizione dicono che non stiamo facendo e non vogliamo assolutamente scatenare una guerra tra poveri. Ecco alcuni dati che parlano da sé. Il Fondo per il lavoro, istituito dalla Diocesi, ha ricevuto finora 475 domande di cui il 70% da parte di italiani e 30% di stranieri. Ad oggi, grazie al Fondo hanno trovato lavoro 65 persone di cui 49 italiani e 16 stranieri, tra questi sono stati assunti a tempo indeterminato 10 italiani e 4 stranieri. Nel 2014 l’Associazione Famiglie Insieme ha aiutato 441 famiglie, di cui 292 italiane e 199 straniere, per un totale di € 444.030. I motivi principali per questi prestiti sono stati per l’abitazione, le utenze, gli automezzi e le cure mediche.

  1. Educare alla legalità

Una Città educa alla cittadinanza se educa alla legalità. E’ un valore che non si improvvisa, ma esige un lungo e costante processo educativo. La sua affermazione e la sua crescita sono affidate alla collaborazione di tutti, ma in modo particolare alla famiglia, alla scuola, alle associazioni giovanili, ai mezzi di comunicazione sociale, ai vari movimenti che hanno un potere di aggregazione e un compito educativo, ai partiti e alle varie istituzioni pubbliche e ai loro primi responsabili. La comunità cristiana, con le sue varie strutture, è anch’essa impegnata in quest’opera formativa.

In questo capitolo, merita un accenno alla crisi finanziaria che continua a mordere. Lo si avverte anche nelle parrocchie, in modo acutissimo. La gente, anche quando tace, è molto preoccupata. La crisi picchia duro sulle famiglie, che con dignità tirano la cinghia: tariffe, tasse, prezzi, tutto è aumentato. Si aggiunga la precarietà o anche la perdita del lavoro in non pochi casi. Il turismo, la nostra valvola di sicurezza, per quanto registri qualche timido segno di ripresa, non tira. Molti alberghi hanno lavorato con prezzi stracciati, col rischio di cattivo servizio, di lavoro nero, di evasione fiscale. Mare, spiaggia, lungomare, tutto appare ormai superato da altre località in Italia e all’estero.

Due tentazioni sono molto seducenti e pericolose. Una, ripeto, è l’evasione fiscale. Sta di fatto che – secondo un’agenzia di stampa di ieri – al comune di Rimini arriveranno oltre 500mila euro dallo Stato per l’attività di accertamento dell’evasione fiscale che consiste nelle cosiddette “segnalazioni qualificate” di sommerso all’agenzia dell’Entrate. Il Comune aderisce dal 2009 all’apposito protocollo d’intesa nazionale. Dai dati aggiornati al 31 dicembre 2014, Rimini si distingue per una maggior imposta accertata di 3.549.000 euro. Il ministero ha accreditato al Comune 29.934 euro nel 2011, 63.419 euro nel 2012, 615.245 euro nel 2013, 482.589 euro nel 2014 e questi ulteriori 500.827 nel 2015. Il totale supera 1,7 milioni di euro. L’attività di accertamento e di controllo svolta dagli uffici comunali ha prodotto 2.123 segnalazioni qualificate alle quali si aggiungono le 644 del Nucleo Antievasione della Polizia Municipale. Quelle in istruttoria sono 1.154. Dati che pongono Rimini al primo posto in regione. Questi dati ci fanno ben sperare sulla possibilità effettiva di contrastare il triste fenomeno dell’evasione fiscale.

Un’altra tentazione è quella di tentare la fortuna con il gioco d’azzardo. I dati sulle ludopatie lo confermano. Secondo i numeri forniti dal Sert di Rimini, la regione Emilia Romagna è la quarta in Italia in cui si gioca di più. Rimini, al suo interno, è la quarta provincia per intensità di gioco, con 1.873 euro pro capite di media, giocati ogni anno. È chiaro che non è possibile che il governo da una parte riconosca la ludopatia come una piaga da sanare, dall’altro impedisca ai Comuni e alle Regioni di mettere un freno e di tutelare i propri cittadini. Anche qui, oltre alla denuncia, merita di essere apprezzata l’iniziativa, promossa da SlotMob lo scorso 16 maggio a cui hanno partecipato Autorità civili, religiose, politiche, militari, insieme a rappresentanti di associazioni di volontariato e di aggregazioni ecclesiali, che hanno espresso apprezzamento ai locali slot free, liberi dalle macchinette, con il diploma di premio ai gestori virtuosi.

  1. Educare alla pace e alla cura della casa comune

Una Città educa a una cittadinanza serena e feconda, se educa alla pace, alla salvaguardia del creato, alla custodia dell’ambiente. La ristrettezza del tempo non mi permette di dedicare a questo tema capitale e urgente l’attenzione che merita. Mi limito a citare due passaggi stralciati di peso dalla recente enciclica di papa Francesco, Laudato sì, che tanta eco ha registrato in tutto il mondo. Per non sciupare parole tanto autorevoli e ponderate, evito ogni commento personale. Scrive papa Francesco: “Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente” (n. 229). Per concludere, riporto anche un interessante accenno all’ecologia della vita quotidiana: Francesco ci incoraggia tutti a “non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma” (n. 230).

Infine permettetemi di confidarvi. Dopo questi miei otto anni a Rimini, io non sono più quello di prima: sono un uomo che, accanto a tanto dolore, ha incontrato anche tanto, tanto amore, coraggio e un sacco di tanta tenace speranza.

Rimini, Residenza Vescovile, 14 ottobre 2015

Buona strada!
+ Francesco Lambiasi