E’ risorto per farci risorgere

Dalla morte dell’idolatria alla vita nuova della fede

Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della Veglia Pasquale

         Cristo è risorto. Non c’è notizia più interessante, più attuale, più importante e decisiva di questa. La risurrezione di Cristo è la notizia più interessante che mai ci sia stata, che mai ci sia e ci sarà nella storia, perché un avvenimento del genere non si era mai sentito a memoria d’uomo né mai più si sentirà fino alla fine del mondo. Questa è la più attuale di tutte le news, perché dopo duemila anni dal suo primissimo lancio – quel mattino del 9 aprile dell’anno 30 – non ha perduto un millesimo di freschezza rispetto alla prima volta. E si capisce: dire che Cristo è risorto, significa dire che è vivo oggi e che sarà vivo per sempre, e quindi non ci sarà epoca o generazione che non possa dirsi contemporanea a lui e alla sua irresistibile attrazione. “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. La risurrezione di Cristo è anche la notizia più importante e decisiva tra tutte, perché fa la differenza tra quanti la ritengono vera, la credono e vivono da risorti, e quanti invece non la credono e vivono come se Cristo fosse morto, sepolto, e niente più.

         Ma cosa significa che Cristo è risorto? Innanzitutto che è morto per amore nostro, e cioè che “ha dato la sua vita per noi”. Ma se è anche risorto, l’espressione – “dare la vita” – non significa solo che Gesù di Nazaret ha sacrificato la sua esistenza per amore nostro, ma che ci ha anche comunicato tutta la sostanza della sua vita, facendola passare nella nostra, tanto che ognuno ne può fare l’esperienza e può ripetere con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.

La Pasqua – ha scritto s. Agostino – non si celebra a modo di anniversario, ma a modo di mistero. Nel linguaggio liturgico “mistero” non significa qualcosa di nebuloso e di oscuro, come una sorta di geroglifico indecifrabile, ma è una celebrazione che rende presente l’evento di cui si fa memoria. Non si tratta dunque di una pura, nostalgica commemorazione, ma di una vera e propria “azione”, alla quale pertanto non si può assistere come spettatori o ascoltatori, ma bisogna parteciparvi, entrarvi dentro come veri e propri “attori”. Attori non però nel senso teatrale o televisivo del termine. Infatti l’azione liturgica non è una rappresentazione mimata, ma una ri-presentazione, ossia una azione che rende presente qui e ora l’evento che si celebra. In questo senso si può parlare anche di attualizzazione, perché grazie allo Spirito Santo, tutto ciò che riguarda Gesù è e rimane perennemente attuale. Noi possiamo dire che oggi Cristo muore, oggi scende agli inferi, oggi Cristo risorge. Come diciamo in ogni celebrazione eucaristica, dopo la consacrazione: “Ogni volta che mangiamo di questo e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo la tua venuta”. Riascoltiamo l’apostolo Paolo: “Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,3-4).

Quando i catecumeni venivano battezzati con il rito per immersione, scendevano nudi nella vasca battesimale, venivano immersi nell’acqua e poi risalivano e venivano rivestiti della veste candida. Questo rito esprimeva la verità dell’evento, anzi non solo la diceva simbolicamente, ma la comunicava effettivamente. Essere battezzati nella morte di Cristo significa e realizza dunque questo: morire al peccato e vivere per Dio! Riprendiamo la lettura di san Paolo: “Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù ” (Rm 6,10-11).

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Un altro modo per indicare la vita nuova generata in noi dal battesimo è l’espressione, sempre di san Paolo: “convertirsi dagli idoli per servire il Dio vivo e vero”. (1Ts 1,9b). Vari sono gli idoli alla cui malefica seduzione siamo tutti esposti, in questo nostro Occidente obeso e depresso.

Il primo è l’idolo del piacere, imposto dalla cultura edonista – in buona parte frutto della rivoluzione sessuale degli ultimi decenni – che svincola la sessualità da ogni norma morale oggettiva, riducendola spesso a gioco e consumo e indulgendo con la complicità dei mezzi di comunicazione sociale a una sorta di idolatria dell’istinto. E’ sotto gli occhi di tutti il mare di sofferenze causato dalla disgregazione della famiglia, dai sentimenti calpestati, dai coniugi abbandonati, dai figli contesi o lasciati soli, dalla dignità della persona umana umiliata, dall’abbrutimento della pornografia, dall’aberrazione della pedofilia, da una società diventata “senza cuore” (cfr Rm 1,31) per l’esaltazione del libero godimento, insensibile alle sofferenze inflitte agli altri. Uno dei primi segni della trasfusione di nuova linfa che il vangelo della risurrezione immetteva nelle vene di un mondo decrepito e corrotto come quello pagano era la “buona notizia” della purezza, esaltando contemporaneamente sia la santità del matrimonio che quella della verginità.

Un altro idolo è quello di un materialismo avido di possesso, disatteso verso le esigenze e le sofferenze dei più deboli e privo di ogni considerazione per lo stesso equilibrio delle risorse naturali. La crisi economico-finanziaria è il drammatico risultato di un economicismo insolente e di un esasperato utilitarismo che ha fatto del profitto il moloch a cui sacrificare ogni valore umano, perfino la dignità delle persone, perfino la possibilità di sola sopravvivenza per intere popolazioni, fino al paradosso che pochi ricchi diventano sempre di meno e sempre più ricchi, e moltissimi poveri diventano sempre di più e sempre più poveri. Oggi i cristiani sono chiamati a fare scelte concrete ispirate a sobrietà, a senso della misura e a un doveroso freno dei propri desideri.

Il terzo idolo è l’idolo del libertarismo, ossia di una concezione vistosamente deformata della libertà, sottratta al suo costitutivo rapporto con la verità e con la norma morale. Chi non vede a quali abnormi conseguenze di ingiustizia e persino di violenza porta, nella vita dei singoli e dei popoli, l’uso distorto della libertà? Una libertà concepita come assenza di vincoli degenera in individualismo eretto a idolatria, anche perché sganciato da ogni esigenza di solidarietà e di responsabilità.

Preghiamo con le parole di un grande scrittore del secolo scorso, convertito al cattolicesimo: “Sii benedetto, mio Dio, che mi hai liberato dagli idoli, e che fai sì che io non adori che Te solo, e non invece Iside e Osiride, o la Giustizia, o il Progresso, o la Verità, o la Divinità, o l’Umanità, o le leggi della Natura, o l’Arte, o la Bellezza… o il Vuoto lasciato dalla tua assenza”. (P. Claudel).
Rimini, Basilica Cattedrale, 8 aprile 2012

 + Francesco Lambiasi