Dio vuole l’amore, non il dolore

Omelia per la Messa esequiale in memoria di Mila

Avvertiamo un penoso smarrimento del cuore e siamo sempre impauriti e sgomenti, quando le circostanze della vita ci costringono a misurarci con lo scandalo della sofferenza innocente. Più che di tante parole, ora ci sarebbe un gran bisogno di tacere e adorare. Adorare, nel senso di aderire al Mistero. Per questo, più che esternare pensieri e riversare parole, vorrei essere un umile, fedele portavoce.

Prima di tutto, portavoce di te, Valentina, cara e dolce mamma di Mila, che, a nome del papà Flavio, di Nicolò e di tutti i vostri cari, sull’epigrafe che ne annunciava il santo viaggio verso il cielo, hai fatto scrivere: “Ci hai riempito la vita di gioia. Ci hai aiutato e supportato anche nei momenti più dolorosi. Che Dio ti accolga tra le sue braccia. Tra i tuoi piccoli e costanti miracoli, mostraci la strada per tornare a vivere”.

Poi di Lucy, a nome di tutte le amiche e i compagni di scuola e di sport: “Ci sono persone difficilmente dimenticabili, tipo te, Mila. Ora non potrò più fare tutte le cose che fanno due migliori amiche normali. Ma noi due, normali, non lo siamo mai state, ma non pensavo fino a questo punto. Tu sei la guerriera più forte che abbia mai conosciuto. Questa malattia purtroppo ha avuto la meglio, ma non ci fermerà. Non fermerà la nostra amicizia. Spero che tu da lassù continuerai ad aiutarmi come io cercherò di farlo da qui. Grazie veramente, Mila, grazie di tutto. E sappi che con il tuo sorriso, hai ucciso questa malattia. Fai buon viaggio, piccolo angelo mio”.
Ora devo assumermi il dovere di fare da portavoce di Gesù. Ma prima, permettetemi una breve premessa. Alle volte noi cristiani attribuiamo a Gesù affermazioni improprie, che rischiano di far bestemmiare il santo nome di Dio. Come quando gli facciamo dire: Il dolore, la malattia e la morte sono volontà di Dio. No, per carità!!! Già nell’Antico Testamento, nel libro di Giobbe, si era fatta piazza pulita di due ipotesi teologiche equivoche e fuorvianti. La prima sosteneva che la sofferenza è la conseguenza del peccato. Ma Gesù ha eliminato per sempre un errore così madornale. Quando si imbatte nel giovane cieco dalla nascita, assesta una ‘picconata’ micidiale contro le assurde opinioni correnti: “Né lui ha peccato né i suoi genitori” (Gv 9,3).
Un secondo tentativo di spiegazione teologica del dolore innocente viene anch’esso demolito da Giobbe: la sofferenza sarebbe una prova di fedeltà a cui Dio sottopone i giusti. La malattia verrebbe quindi inviata da Dio a persone buone e giuste per saggiarne fino in fondo la fede e la fedeltà al Signore. Per vedere se cerchiamo Dio o noi stessi, se gli obbediamo per interesse o per amore. Ma neanche questa spiegazione risolve completamente il problema: ne lascia, anzi, intatto il nocciolo fondamentale.
No, la sofferenza non è volontà di Dio. Gesù lo dice con chiarezza lampante e con tono perentorio: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39). Non è assolutamente la malattia la cruda volontà di Dio, ma la nostra salvezza. Volontà di Dio è che anche nella malattia lui possa esserci con tutta la sua tenerissima misericordia e possa riscrivere tutto dritto, anche sulle righe storte della vita. Dio non è un boss, che si eclissa quando gli affari dell’azienda vanno male, per uscirsene poi illeso e non rischiare una feroce contestazione dai suoi dipendenti. Dio è Padre, un ‘padre-madre’ che non permette a niente e a nessuno – neanche al male e alla morte – di esiliare i suoi figli dal suo cuore ‘materno’.

Dio non ha mandato Gesù nel mondo a fare prediche sul dolore e sulla morte, ma a condividere la nostra umana fragilità. Più che a spiegare il perché dell’abisso del dolore, Gesù è venuto a riempirlo d’amore. E’ venuto a vincere l’odio con il perdono, a sconfiggere una violenza totalmente ingiustificata con una dedizione totalmente incondizionata. Se Gesù ha sofferto il dolore, pur di non rinunciare alla dinamica dell’amore, non è stato tanto per insegnarci a soffrire, ma piuttosto per insegnarci ad amare. Non ci ha detto: “Soffrite come ho sofferto io”. Ma: “Amatevi come io ho amato voi”.

Ecco allora dov’era Gesù, mentre Mila soffriva e moriva. Non era accanto al suo letto. Era in fondo al suo cuore, per aiutarla ad alleviare il dolore dei suoi cari e delle sue amiche più care con il lampo del suo disarmante sorriso. Per tatuare in quel sorriso la sua parola di luce: “Noi siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3,14).
Accettiamo con cuore umile e grato la carezza quella che il Padre dei cieli oggi ci fa con le mani tenere e il cuore dolce di Mila. Per ricordarci che non siamo soli nel dolore, perché lui ci sta accanto in questo duro momento di sconcerto. Gesù ci ama e soffre con noi e per noi.

Mila è con Gesù, e se Gesù è con noi, Mila sarà sempre con noi.

Mila è viva, e noi la incontreremo viva ogni volta che sceglieremo la strada della vita. La strada del bene, della luce, della bellezza. La strada dell’amore limpido e gratuito.

Grazie, Mila, perché ci sei. Grazie perché ci sei stata e ci sarai sempre vicino.

Ciao, piccola, vieni a passare il tuo cielo sulla terra e a “mostrarci la strada per tornare a vivere”.

Addio, Mila! A-Dio…

Rimini, Santa Maria alle Celle – 28 novembre 2018 –

+ Francesco Lambiasi