Chiara, donna “misericordiata” e misericordiosa

Omelia tenuta dal Vescovo nella festa di santa Chiara

Innamorata e felice: forse bastano le pennellate di questi due aggettivi per sbozzare il profilo interiore di Chiara di Assisi. Nobile, bella e ricca, a 18 anni scelse una vita povera, umile, ritirata, ma non ripiegata e mai autoreferenziale. Eppure, nonostante la lotta durissima che dovette sostenere per mantenersi fedele alla strada intrapresa, non si pentì mai della scelta compiuta, anzi ne fu sempre lieta e intimamente appagata, senza sconti al ribasso, senza riserve e senza rimpianti. Ma quale fu la perla preziosa, da lei scoperta dopo un impegnativo itinerario di ricerca, percorso sotto la guida di Francesco, e per acquistare la quale rinunciò a tutti i suoi beni? Fu la scoperta del Bene, di quel bene maiuscolo e assoluto qual è la misericordia.

  1. Miseria e Misericordia

In questo anno giubilare, indetto da papa Francesco e dedicato proprio alla riscoperta della divina umanissima misericordia del Signore, vogliamo metterci sulle tracce di Chiara perché aiuti anche noi a intercettare la perla evangelica dell’amore misericordioso di Dio nella storia e nel mondo. Ci serviamo per questo del Testamento, da lei dettato negli ultimi giorni di vita, molto probabilmente a frate Leone, il frate della “perfetta letizia”. Letto in filigrana, il testo lascia trasparire il volto di una donna che, al termine della sua corsa terrena, guarda serenamente, con lo specchietto retrovisore della fede, al cammino percorso dal primo sì alla chiamata divina fino all’ultimo sì alle nozze eterne. Pertanto l’intero Testamento si può riassumere nel trinomio delle tre M: miseria, misericordia, magnificat. Esploriamo il primo binomio: miseria e misericordia.

Una lettura parallela delle testimonianze rese dalle prime sorelle al Processo per la sua canonizzazione, svela il clima respirabile attorno al giaciglio della morente. Le sue ultime parole riportate dalle ‘testimonie‘: “Tu, Signore, sii benedetto, tu che mi hai creata” (Proc 3,20) raccontano infatti la stessa rapita gratitudine del Testamento: un inno di lode al “Padre delle misericordie” (v. 2), il Dio tenero come una madre, chino sulla miseria della sua creatura per aprirle la strada, tutta in salita, certo, ma diritta e sicura, di una vita vissuta con passione e intimo appagamento. Ripeto: la vita di una donna innamorata e felice.

Chiara sa bene di essere stata misericordiata – per usare un neologismo inventato da papa Francesco – poiché si è ritrovata come sommersa dalla cascata torrenziale della sconfinata misericordia divina: una benevolenza immeritata, esuberante, eccedente e – secondo lei – addirittura eccessiva. La piccola ramicella del santo padre Francesco – come lei stessa amava descriversi – si vede “come una piantina fruttifera nel giardino della Chiesa”. Si legge come una gocciolina di rugiada, abbracciata dalla volta del cielo. Si coglie nella sua totale povertà, come un granellino fatto di niente, ma teneramente avvolto dall’Essere infinito. E si racconta come una povera mendicante di vita, priva di qualunque bene, ma sorprendentemente arricchita dall’unico e sommo Bene, il Padre di ogni consolazione, “il grande elemosiniere”, secondo la felice immagine di Francesco. In fondo questa creatura dolce e tenerissima, rivela una forza irresistibile ed esprime una tempra audace e ostinatamente tenace nel perseguire il suo ideale, quello di “non voler avere nulla, se non nostro Signore”.

Ma c’è di più. Il filo d’oro del rapporto tra Dio e Chiara non scorre solo sulla trama del binomio antitetico “finito – Infinito”, ma si snoda anche sull’ordito di un’altra opposizione binaria, quella di “peccato – Santità”. Ora, noi sappiamo che il peccato scava il fossato più largo, profondo e umanamente incolmabile tra Dio e noi, perché ci fa suoi ostili e irriducibili antagonisti. “Ma Dio – ci ricorda san Paolo – dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori – (cioè “quando (gli) eravamo (ancora) nemici”) – Cristo è morto per noi” (Rm 5,8.10). Qui si inciampa in una domanda da non bypassare: ma non è esagerato parlare di peccato in una creatura limpida e candida come Chiara, che già da bambina dicevano che profumasse di “un buon odore di cielo”? Sta di fatto che lei stessa nel Testamento usa espressamente la parola “conversione” e l’attribuisce alla misericordia del Padre celeste, che si è servito del suo padre spirituale, san Francesco, per dischiuderle la via della vita nuova. Ecco il passo:

“Dopo che l’altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia si degnò di illuminare il       mio cuore, perché sull’esempio e l’insegnamento del beatissimo padre Francesco, facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, insieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva donato poco dopo la mia conversione, volontariamente gli promisi obbedienza, così come il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia attraverso la sua vita mirabile e il suo insegnamento” (Test. 24-26).

         Dunque anche Chiara si è convertita, cioè ha irreversibilmente invertito la rotta del suo cammino, perché ha sperimentato la misericordia del Signore, quando era – afferma lei stessa testualmente – “nella misera vanità del mondo” (Test. 6). Chiara si è convertita nel senso che è passata dall’esperienza della sua miseria all’esperienza della misericordia di Dio. E’ letteralmente transitata dall’essere ‘misericordiata’ da Dio Padre all’essere misericordiosa: verso le sorelle, verso i poveri, i malati, i peccatori, verso tutte le creature piccole, fragili e ferite dalla vita.

Due riprove schiaccianti. L’abbadessa di san Damiano era irremovibile nel riservare a se stessa le incombenze più umili e stomachevoli: sosteneva con santa ostinazione che toccasse proprio a lei “lavare i sedili delle inferme” e voleva lavare e baciare i piedi infangati delle sorelle che tornavano dalla questua. Inoltre, nel tracciare l’identikit dell’abbadessa, fissa di se stessa questa sorta di selfie: che sia una vera madre, capace di farsi obbedire “piuttosto per amore che per timore” (Test. 61), più per il contagio del suo esempio che per riguardo del suo ruolo.

  1. Misericordia e Magnificat

L’intero scritto del Testamento ha l’andamento del prefazio della messa ed esprime l’eucaristia di Chiara: la celebrazione della morte e risurrezione del Signore di cui tutta la sua vita si è fatta memoria viva. Di più: se ne è fatta memoriale concreto ed esistenziale. Se la sua vita è stata abbracciata dall’arcobaleno della ‘grazia’, a lei non resta che cantare il suo ‘grazie’, stupito e commosso. Grazia e grazie che culminano negli ultimi giorni della sua vicenda terrena. Anche il ricordo degli inizi della vita nuova e del cammino in san Damiano entra nell’ottica del “fare memoria” delle sorprendenti meraviglie del Signore: la sua santa alleanza, l’incontro con Francesco, la vocazione come risposta all’amore misericordioso del Padre, l’inestimabile dono delle sorelle ‘damianite’. La chiave di lettura del Testamento, che dà unità e interiore coesione all’intero scritto, è infatti l’incanto estatico di Chiara nel sapersi e sentirsi amata dall’Altissimo, onnipotente e bon Signore. Una meraviglia cresciuta negli anni attraverso l’esperienza della preghiera, la concretezza quotidiana dell’abbandono fiducioso “senza se e senza ma” alla provvidenza, e l’amore forte e tenero alle sorelle e ai fratelli. Perciò Chiara canta il suo personale magnificat a Colui che si è chinato sulla sua piccolezza e ha operato “grandi cose” per lei, come già per Maria di Nazaret.

Alla fine, anche la morte le appare come grazia: certo, “nostra sora morte corporale” toglie i doni del Donatore, ma per aprire all’incontro con il Donatore dei doni. Certo, viene a spegnere le nostre tenui fiammelle, ma per illuminare d’Immenso la piccola ‘pianticella’ di Francesco e rendere lei “Chiara di nome, più chiara per grazia, chiarissima per santità”. E se la vita non è tolta, ma trasfigurata, il culmine della massima povertà trapassa dolcemente nell’inizio della massima ricchezza.

Così Chiara esce dal mondo, con un soliloquio tenerissimo, rivolgendosi alla sua anima: “Va’ sicura, perché hai una buona guida nel viaggio. Va’, perché Colui che ti ha creata, ti ha santificata, e, custodendoti sempre come fa una mamma con il suo ‘mammolo’, ti ha amata di tenero amore. Tu, Signore, sii benedetto che mi hai creata” (LegsC 4,29).

Infine, una domanda ineludibile e tutt’altro che retorica: c’è una vita più bella, più buona, più beata, in altre parole, c’è una vita più ‘chiara’ della piccola ‘madonna’, sorella Chiara?

Rimini, Convento delle Clarisse, 11 agosto 2016

+ Francesco Lambiasi