Alberto Marvelli: un servo davvero inutile?

Omelia del Vescovo per la festa del Beato

Ammettiamolo. Tradurre è sempre un po’ tradire. Rendere l’ultimo versetto del brano evangelico appena proclamato (Lc 17,10) con “Siamo servi inutili” è davvero una traduzione infelice. Servire non è mai inutile secondo la logica evangelica. Del resto Gesù si qualifica come il servo del Signore, ma mai e poi mai si autosqualifica come un “servo inutile”. Pertanto l’espressione greca, usata da san Luca, si può benissimo rendere con quest’altra: “Siamo semplicemente servi”. Inutile non significa che non serve a niente, ma che, da una parte non è necessario né tantomeno indispensabile, e dall’altra è disinteressato, gratuito. Non cerca il proprio utile, non punta sul proprio interesse, non mira a ricompense e riconoscimenti, non rivendica medaglie e trofei.

Se ora proviamo a passare dal vangelo secondo Luca a quello che possiamo chiamare a ragione il vangelo secondo Alberto, dobbiamo richiamare un episodio capitato al nostro Beato riminese. Nel 1944 si diffuse a Rimini una grave epidemia di tifo, con un numero inimmaginabile di oltre 602 ricoverati e con circa 53 morti. La struttura ospedaliera risultò del tutto inadeguata: mancavano letti e lenzuola, scarseggiavano medicinali e attrezzature sanitarie.

Dopo una riunione drammatica, dedicata ai primi soccorsi, l’ingegnere Marvelli decise di partire per l’alta Italia e affrontò un viaggio avventuroso, data la precarietà in cui si trovavano allora i collegamenti. Di lì a pochi giorni lo si vide ritornare con il fratello partigiano alla guida di un camion carico di lenzuola, di medicine e di apparecchiature ospedaliere. Quando, qualche giorno dopo, si voleva encomiare quel gesto molto generoso e altrettanto coraggioso, Alberto rispose: “Abbiamo fatto solo il nostro dovere”. Una espressione che fa rima baciata con quella messa in bocca da Gesù ai servi del brano evangelico: “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

Ne scaturisce un messaggio di limpida gratuità: il cristiano impegnato in politica non può servire per (conquistare) il potere, ma esercita, per così dire, il potere di servire. In altre parole: compie il suo dovere, ma non per interesse, bensì per amore.

Torniamo al brano evangelico. Vi registriamo un malinconico sospiro di Gesù: “Se aveste fede!”. Ne basterebbe appena un granellino per spostare non solo qualche quintale di un gelso, ma addirittura miliardi di tonnellate di montagne (cfr Mt 17,20).

Ci possiamo allora chiedere: qual è il valore aggiunto dalla fede al servizio politico?

La fede non è neutra rispetto all’impegno del cristiano nella vita politica. Con la fede o senza la fede tutto cambia. Come a dire: con la luce o senza la luce del sole il paesaggio cambia completamente. Certo, materialmente resta lo stesso, sia di notte che di giorno. Ma un conto è se il panorama viene inghiottito dal buio della notte, un conto se viene illuminato dalla luce del giorno. E’ ovvio: di giorno si potranno vedere campi seminati a grano insieme a cumuli di zizzania. Si potranno avvistare cave di pietra e montagne di rifiuti. Ma la luce del giorno permette di vedere anche dove bisogna lavorare per riuscire a bonificare l’ambiente.

Per Alberto Marvelli la fede gli ha permesso di vedere e di vivere la realtà politica – con le esigenze e le emergenze, con le complessità e le contraddizioni che la contrassegnano – alla luce del Vangelo. Concretamente per il nostro Beato l’impegno politico è stato una vocazione, una limpida testimonianza, un servizio concreto, rivolto alla comunità sociale e civile.

Aveva scritto nel suo Diario: “Voglio che la mia vita sia un continuo atto d’amore”. Per lui la politica era per lui l’estrema conseguenza della carità sociale. Così si spiega perché abbia ispirato il suo impegno alla stella polare del bene comune. Perché abbia scelto i poveri come destinatari privilegiati della sua attività. Perché non abbia avvertito insanabili fratture tra l’attività nell’Azione Cattolica e l’impegno diretto nel partito della Democrazia Cristiana. Perché più che un democristiano, lo si potrebbe definire un ‘cristiano democratico’.

In conclusione, care sorelle, cari fratelli, ascoltatemi.

Il Signore risorto viene qui in mezzo a noi stasera, si serve del nostro Beato come suo portavoce, per riproporci il severo messaggio del Concilio: “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso. E mette in serio pericolo la propria salvezza eterna”.

Rimini, Chiesa di s. Agostino, 5 ottobre 2019 

+ Francesco Lambiasi