Chi ci separerà dall’amore di Cristo?

Omelia nella Messa esequiale in memoria di Luciano Chicchi

         «Si dice che all’interno dei quattro vangeli noti è come se ce ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno ha intravisto quel vangelo” (M. Pomilio). Fratelli e Sorelle, penso di esprimere una convinzione condivisa se oso affermare che la vita di un credente è una sorta di ‘sequenza’ del santo vangelo, e quindi è solo la luce della fede che ci permette di leggere quella vita scritta con l’alfabeto e la grammatica della fede. Solo la luce della fede pertanto ci permette di raccogliere in toto il testamento spirituale del nostro fratello Luciano e di decrittarne il segreto: altrimenti la vita cristiana diventa un geroglifico indecifrabile.

L’esistenza terrena di Luciano si potrebbe condensare in tre lunghe fasi: la prima, quella della ‘formazione’; la seconda, quella della ‘costruzione’; la terza ed ultima, quella che si potrebbe chiamare a fase del ‘pellegrinaggio’.

1. La fase della formazione è cominciata, come per tutti i figli di Eva, nel momento del concepimento. Canta il salmo (139): “Sei tu che hai formato i miei reni, mi hai tessuto nel grembo di mia madre” . Chissà quante volte Luciano avrà recitato questo salmo e con quanta commozione avrà benedetto Dio per il dono incomparabile della vita, del battesimo, dell’affetto e dell’educazione familiare. Luciano, primo di tre fratelli, era rimasto orfano del padre Arturo, subito dopo il passaggio del fronte. La mamma, Giovanna Sacchini, fu molto premurosa per l’educazione umana e cristiana dei tre figli. Fin da piccolo Luciano fu molto partecipe della vita parrocchiale, a S. Agostino; allora era parroco mons. Vasini.

Nell’adolescenza e nella giovinezza fu uno dei primi “discepoli” e collaboratori di don Oreste Benzi nella guida del movimento Pre-jù dell’Azione Cattolica. Ha sempre ricordato quel periodo intenso di formazione e di impegno nell’apostolato fra i ragazzi con grande gratitudine a don Oreste, da lui riconosciuto specialmente per il carisma dell’educazione dei giovani alla fede. Oltre che nell’Azione Cattolica, si impegnò, negli anni dell’università, nella Fuci.

La sua formazione fu improntata alla spiritualità del laicato proposta dall’AC e spesa nell’impegno personale, nell’azione apostolica nella Chiesa, nella presenza nella società. Erano di casa per lui grandi autori, da Maritain a Mounier, da De Lubac a Voillaume.

Questa prima fase si potrebbe riassumere nei versi di Tagore: “Sognavo e vidi che la vita era la gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che il servizio era la gioia”. Alla scuola di Don Oreste Luciano aveva imparato a sognare in grande e aveva anche imparato a servire con generosità e spirito di sacrificio, con scienza e coscienza. Fin dall’età dei diciotto anni, Don Benzi gli affidò la responsabilità della casa “Madonna delle vette”.

2. La seconda fase – la più lunga – della vita terrena di Luciano è quella della ‘costruzione’: costruzione di una famiglia, costruzione della città, costruzione della Chiesa. Il simbolo di questa fase potrebbe essere quello della nostra Cattedrale, dove Luciano celebrò le nozze con Annarosa Nicolini, con la benedizione del Vescovo Emilio Biancheri, verso il quale nutriva rapporti di figlio affezionato e fedele.

Cattedrale come realtà materiale e come simbolo spirituale. Ricordiamo la storia dei due spaccapietre. Un giorno un pellegrino incontrò un uomo che stava lavorando a una cava di pietre. “Che cosa stai facendo?”, chiese il pellegrino. E l’uomo, con il volto ridotto a una maschera di polvere e di sudore, rispose: “Non lo vedi? Mi sto spaccando la schiena per ammucchiare pietre”. Il pellegrino si voltò dall’altra parte e vide un altro spaccapietre che stava facendo lo stesso lavoro. “Che cosa stai facendo, buon uomo?”. “Non lo vedi?” – disse quello, additando la valle dove cominciava a sorgere una solenne chiesa romanica – “Sto costruendo una cattedrale”. Tutta la vita pubblica di Luciano si può riassumere in questo messaggio che ha dato sapore, gusto e bellezza alla sua vita: costruire una cattedrale nel cuore della città.

Quando Mons. Mariano De Nicolò venne vescovo a Rimini, Luciano, ormai affermato esponente cattolico della vita cittadina, stabilì con lui una sincera amicizia e una feconda collaborazione. Divenuto Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, volle assumere il grandioso progetto del restauro del Tempio Malatestiano, Cattedrale della Diocesi e massimo monumento artistico di Rimini. Tale impegno si protrasse per un decennio, fra progetti, permessi, lavori, sotto l’occhio vigile della Soprintendenza di Ravenna e del Ministero dei Beni Culturali. Il restauro fu accolto con grande favore dalla cittadinanza: ogni parziale inaugurazione – poiché i lavori procedevano per stralci successivi – vedeva una partecipazione di fedeli e di cittadini numerosa e ammirata. La Soprintendente Arch. Iannucci, scherzando, diceva che Luciano Chicchi era il nuovo Sigismondo di Rimini. Il Vescovo Mons. De Nicolò, in segno di speciale gratitudine, gli ottenne una prestigiosa onorificenza pontificia.

Sempre partecipe della vita della Chiesa Riminese, Luciano Chicchi, in qualità di Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, contribuì alla erezione della tomba monumentale del Beato Alberto Marvelli nella chiesa di S. Agostino, ammirando in Alberto non solo l’eroismo delle virtù cristiane, ma anche il modello di cittadino e di civico amministratore.

Ma la Cattedrale che Luciano Chicchi ha sognato doveva essere una Cattedrale dalle porte sempre aperte, anzi spalancate, sulla Città, perché chi vi entrava per cercare Dio lo potesse trovare, e chi lo aveva trovato ne uscisse per andare a lavare i piedi ai fratelli, a cominciare dai più poveri. Luciano ha vissuto sempre con intensità la vita della Chiesa Riminese, dalla partecipazione assidua alle celebrazioni diocesane in Cattedrale fino a far parte, in questo ultimo triennio, del Consiglio Pastorale Diocesano. E’ stato amico personale dei vari Vescovi della Chiesa Riminese, con i quali ha sempre collaborato cordialmente. Vicino all’azione della Missionaria Riminese, dott.ssa Marilena Pesaresi in Zimbabwe, fu tra i promotori dell’Associazione Verso Mutoko e della sua trasformazione in Fondazione.

In anni in cui si diceva che la fede è alienante, Luciano ha ispirato la sua prassi ad una perla del Concilio: “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in serio pericolo la sua salvezza eterna” (GS 43).

Profondo e schivo sul piano personale, animato da vasti interessi culturali, era lettore attento di testi di spiritualità laicale, oltre che di quanto aveva attinenza con l’economia, con l’arte e con l’impegno dei cristiani nella vita pubblica. Ha vissuto un cammino di fede forte ed esigente. Non è mai scivolato nel clericalismo: voleva che le responsabilità laicali fossero dei laici. Percepiva la santità del laico come spesa nelle realtà temporali: la famiglia, la professione, l’impegno civico espresso sul piano delle istituzioni, della cultura e della politica.

La sua spiritualità affondava le radici nell’amore alla Chiesa, nella lettura del Vangelo e dei Salmi, nella partecipazione ai sacramenti; e si esprimeva  – secondo la sua vocazione laicale – in un profondo amore a Cristo e alla comunità ecclesiale e, insieme, nell’amore all’uomo e alla città. In nome di questo duplice amore, assunse numerosi impegni ecclesiali e civili, vivendoli con spirito di fede e di generoso servizio. Non era bigotto; si spendeva nella società. Aveva sommamente a cuore il bene della Città, la sua elevazione culturale, la promozione dei valori umani e cristiani nella vita sociale, civile, pubblica, e si è battuto fino all’ultimo per un ‘risorgimento morale’ di Rimini. Riteneva responsabilità dei cattolici l’impegno per dare un volto umano alla società e alla sua vita politica, economica, culturale e sociale. Trovava incoraggiamento nei grandi cattolici riminesi che avevano lavorato per la qualificazione della Città sul piano della cultura e della civile convivenza: Igino Righetti, Alberto Marvelli, Maria Massani.

Ricoprì innumerevoli incarichi, con spirito attento alla promozione della Città e di servizio al bene comune: fu presidente dell’Azienda di Soggiorno, segretario della DC, direttore della Fiera di Rimini e poi di quella di Bologna, presidente della Fondazione Carim; e, fino al decesso, presidente dell’UniRimini.

È stato convinto promotore del Polo universitario di Rimini, che si è realizzato grazie al suo personale impegno.

Il suo amore per la Chiesa lo esprimeva con una battuta scherzosa: “Quando andrò in pensione, voglio fare il sacrestano” … del Duomo, naturalmente!

3. E siamo alla terza fase della vita del nostro Luciano, quella che abbiamo detto del ‘pellegrinaggio‘: riprendendo il racconto, si capirà subito il motivo di tale denominazione. Innamorato della montagna – la sua Moena, le sue Dolomiti! – e buon camminatore, si sentiva elevato dall’ammirazione delle vette, dei boschi, dei prati, alla contemplazione per la grandezza di Dio Creatore.

Fra le caratteristiche più felici della sua personalità, va registrata la capacità di stabilire relazioni fra le persone, di fare squadra negli ambiti di lavoro e di impegno civico, di fare gruppo e amicizia con tanti, che sapeva unire in un clima cordiale e mai banale. In montagna molti amici riminesi si ritrovavano la sera a casa sua o in una baita per cantare insieme, in coro, le canzoni della tradizione popolare e montanara raccolte in una serie di libretti intitolati “Chicchi sui picchi”!

Volle fare con la sposa Anna Maria il pellegrinaggio in Terra Santa, per ripercorrere le orme di Gesù e ritrovare luoghi, ambienti e sensazioni del Vangelo.

Ogni anno riuniva fratelli, familiari e gli amici più intimi nel ricordo e nella celebrazione della Messa per l’amatissima mamma Giovanna, alla quale era molto legato e dalla cui educazione molto aveva ricevuto.

Nell’ultimo tratto del suo pellegrinaggio terreno, ho potuto toccare con mano la sua serenità. Fino all’ultima volta che ho avuto modo di sentirlo per telefono, con voce flebile e appena percettibile, mi ha ripetuto: “I dolori aumentano, ma la pace non diminuisce”. È stato esemplare nella pazienza e nel coraggio con cui ha vissuto la grave malattia, durante la quale non ha rallentato, se non per estrema necessità, i suoi impegni pubblici. La morte, accolta con la fede in Cristo risorto e con la speranza della vita per sempre, ha coronato una vita vissuta da credente generoso e coerente.

Ieri, quando all’obitorio, insieme al parroco, ho provato la consolazione di poter benedire la sua salma, ho scritto sul libro delle condoglianze, aperto accanto alla foto che lo ritrae in tenuta da montagna: “Dai, Luciano, aspettaci su in vetta!”. A questo messaggio non ho altro da aggiungere, ma mi conforta il pensiero di poterlo proporre oggi alla firma di molti di voi.

“Riposi in pace”.

Rimini, Basilica Cattedrale, 24 novembre 2012

     + Francesco Lambiasi